lunedì 7 marzo 2011

Capitan Harlock contro i fascisti del terzo millennio - parte 1

Poco più di un mese fa, nell’ambito del progetto “Treno della Memoria”, ho partecipato ad un’assemblea in cui si metteva in relazione il periodo storico immediatamente precedente all’ascesa del nazismo in Germania con l’epoca odierna italiana, evidenziando come i dati riguardanti la crisi economica e sociale potessero essere pericolosamente simili.

Da qualche mesetto un’altra realtà collegata ai nuovi estremismi continua a perseguitarmi: la famigerata Casapound.

Conoscevo già di nome questa particolare organizzazione (associazione culturale?) ma l’avevo sempre circoscritta tra gli inevitabili tentativi di “revival” del ventennio.

Uno di quei gruppetti di nostalgici che sai già richiamerà quei due o tre sfortunati che abitano dalle tue parti e che riconosci come abituali frequentatori dei bar al pomeriggio e delle risse allo stadio la domenica.

Questo finché qualche mese fa non è capitata una cosa particolare: dei giovincelli “agghindati” in modo inequivocabile capitano in libreria chiedendo un libro uscito la mattina stessa, dal titolo “Nessun Dolore”.

Nell’arco di un pomeriggio, un altro paio di coppie, sempre dallo stesso stile/vestiario, ordina qualche copia del medesimo libro. Al che, per curiosità, lo prendo in mano e scopro che il sottotitolo recita: “una storia di Casapound”. Sempre più incuriosito, mi leggo il riassunto della storia in quarta di copertina…rimanendo a metà tra l’incredulo e il divertito.

Di cosa parla “Nessun Dolore”?

Parla di un povero ragazzo, uno dei “tanti figli belli e infelici di Roma Nord, quella dei quartieri bene e del posto fisso nell'azienda di papà”.

Questo povero ragazzo, ha il vizio, oltre alla povertà, di entrare senza biglietto allo stadio.

Diciamolo a gran voce: è una vergogna che si costringa i poveri ragazzi a pagare il biglietto.

Per sua fortuna, inseguito dai malefici tutori dell’ordine, si salva grazie all’intervento di alcuni energumeni capeggiati dal burbero ma buono Giorgio “bruno e massiccio, figlio della Roma popolare”. Da qui, il povero, sfigato, ragazzo figlio bello e infelice della Roma popolare, scopre la sua nuova famiglia di Casapound, gli “amici da sempre desiderati, e la felicità” (scende una lacrimuccia eh?)

Così, con la sua nuova allegra famiglia, oltre che a correre felice e cameratescamente tra i prati, inizia a partecipare alle lotte politiche di strada (fischiettando, probabilmente) finché non ritorna in scena lo Stato malvagio (lo stesso che voleva fargli pagare il biglietto allo stadio!) che lo accusa di avere carismaticamente e virilmente accoltellato un pusher (ma sarà mica reato accoltellare un pusher??). Per fortuna entra in scena un eroico avvocato difensore, uno che conosce bene la realtà di Casapound e sa che la verità è un’altra

Facendo una piccola ricerca, si scopre tra l’altro che lo stesso scrittore del libro, Domenico Di Tullio, è proprio un (eroico?) avvocato penalista.

La mia curiosità continua a spingermi ed inizio a leggere il primo capitolo. Ammetto che la scrittura è accattivante e che può sicuramente far presa su chi basa le sue conoscenze letterarie sulle istruzioni per installare la Playstation.

Girando negli stessi giorni per Bolzano, scopro che, in alcune zone popolari, sono addirittura appesi cartelli di Casapound che invitano a comprare il libro il giorno stesso dell’uscita e ad ordinarlo nel caso le librerie della zona non lo avessero esposto.

Una sorta di “marketing fatto in casa” che, scopro, ha luogo in varie zone d’Italia e mira a far entrare il libro in classifica gonfiandone le ordinazioni per la prima settimana di uscita.

A Bolzano probabilmente è un ben misero fallimento, dato che le quattro copie vendute e le due o tre ordinate nei primi giorni di uscita si assestano su…quattro copie vendute e due o tre ordinate ancora oggi dopo mesi e mesi.

Tirando le fila, dopo poche notizie frammentarie, la mia prima idea di questi “fascisti del terzo millennio” è quella di un’associazione che punta ad una fascia di utenza molto giovane e popolare e che non ha le idee molto chiare, con un “volemmose bene” che fa tanto mix tra “siamo buoni camerati” e “vorrei essere fascista ma non posso”. Il tutto condito da una bella dose di Federico Moccia de’ noantri, con queste storielline che mirano a focalizzare l’attenzione su una sorta di nemico non ben precisato.

D'altra parte intuisco già come ci sia dietro qualcuno che tira le fila, un'organizzazione che un qualche scopo ce lo deve pur avere e che ha voglia e tempo da dedicare. Un qualcosa che riesce pur sempre a farsi pubblicare e distribuire un libro dalla Rizzoli, mica da un editorucolo qualunque...

...continua...

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